Jean-Michel Basquiat fa la sua comparsa sulla scena artistica della downtown di New York alla fine degli anni Settanta. Scappato dalla casa familiare di Brooklyn nel 1975 all’età di 15 anni conduce una vita da vagabondo trovando rifugio da amici e amanti, mentre ricambia l’ospitalità trasformando gli oggetti domestici, dalle porte al frigorifero, in oggetti d’arte. Il film di Sara Driver si concentra proprio su questo suo primo periodo mostrando la relazione tra l’allora nascente cultura dei graffiti, delle tag e dei disegni sui vagoni della metropolitana e le prime opere del writer Basquiat che con lo pseudonimo SAMO scriveva sui muri stravaganti poesie. I legami tra il giovane tagger concettuale e la scena hip hop dell’epoca vengono raccontati, fra gli altri, dal regista Jim Jarmusch e dal rapper Fab Five Freddy che insieme ai muralist Lee Quiñones e Al Diaz aiutò a rendere celebre la tag SAMO prima che lo stesso Basquiat la reclamasse come sua. Fedele al suo titolo il film, che esclude dalla narrazione gli anni dell’infanzia e i rapporti familiari, mostra un Basquiat quasi come un’entità aliena comparsa dal nulla in mezzo al Lower East Side, determinato a dire la sua in ogni campo artistico, dalla pittura alla musica, che dipinge abiti per la costumista Patricia Field, che forma una band avantgarde con Michael Holman –poi sceneggiatore del film Basquiat di Julian Schnabel- e che fa festa con tutti al Mudd Club e al Club 57. Una figura destinata a cambiare per sempre il volto della città e a conquistarsi un posto tra i grandi artisti americani del ventesimo secolo.